Il territorio del parco è prevalentemente collinare, con quote che variano tra i 300 e i 700 metri. Si tratta di un'area caratterizzata da diffusi insediamenti e una popolazione residente di centinaia di migliaia di persone, dunque assai lontana da una wilderness. La valenza naturalistica resta comunque un forte elemento, certificata anche dall'individuazione di Sic (ben quattro) e Zps (una) da parte dell'Unione Europea.
Tra gli ambienti più notevoli ricordiamo i laghi di Albano, altrimenti detto di Castelgandolfo, e di Nemi.
Il falco pellegrino è tornato a nidificare nel territorio dopo anni di assenza dovuta alla predazione delle sue uova e dall'uso di sostanze chimiche per l'agricoltura. Presenti pure, tra i rapaci, lo sparviero, la poiana ed il gheppio, mentre tra i rapaci notturni la presenza dell'allocco, del barbagianni, dell'assiolo, della civetta e del gufo comune, testimoniano il buon equilibrio dell'ecosistema. Tra gli anfibi la presenza del tritone crestato, del tritone punteggiato e della rana dalmatina fa da corollario alla ricomparsa della salamandrina dagli occhiali con almeno quattro popolazioni diverse, dopo un lungo periodo di assenza. Tra i mustelidi è presente la martora, mammifero dalle abitudini arboricole particolarmente significativo come indicatore biologico, oltre alle più comuni donnola e faina. Molto importante è anche la presenza del tasso, altro animale la cui presenza è indicativa di uno stato generale di buona salute dell'habitat. Tra i rettili vi sono il biacco, la natrice, il saettone, il cervone e la vipera comune. Occorre ricordare che la maggior parte di questi serpenti sono innocui, e cibandosi in prevalenza di roditori, svolgono una importante e necessaria opera di controllo di queste popolazioni di animali che altrimenti si riprodurrebbero in modo eccessivo alterando l'ecosistema. Solo la vipera comune è velenosa per l'uomo, ma è molto meno pericolosa di quanto si immagini; infatti, come tutti gli animali selvatici avverte la nostra presenza con molto anticipo e preferisce allontanarsi evitando il confronto con l'uomo, anche per preservare il proprio veleno per le proprie prede. I laghi di Nemi ed Albano ospitano diverse specie di avifauna acquatica. Tra le anatre si possono individuare il germano reale, la moretta e il moriglione, spesso in compagnia di folaghe, svassi maggiori, tuffetti e cormorani. Tra gli ardeidi sono presenti l'airone cenerino ed il tarabuso. Tutti questi animali, a parte il germano reale, non nidificano ma migrano a primavera per raggiungere i siti di riproduzione nel nord Europa, per poi ritornare a popolare gli specchi lacustri in autunno. La presenza consistente dello svasso maggiore e del cormorano, sia a Nemi che ad Albano, sta ad indicare il buon livello della fauna ittica, cibo preferito da questi uccelli acquatici predatori. Alle specie originarie come tinca, carpa, arborella, anguilla, cavedano, luccio, cefalo e scardola, si sono aggiunte negli anni, provenienti da altri paesi, altre specie quali persico, persico sole, boccalone, coregone e gambusia.
Con le sue molteplici attività l'uomo ha praticamente ridisegnato gli aspetti originali del paesaggio vegetale dei Colli Albani. Trasformazioni che già le popolazioni Latine presenti nell'area prima dei Romani hanno iniziato a produrre, al fine di reperire zone da dedicare alla coltivazione ed al pascolo. Inoltre, la necessità di legname per riscaldamento e costruzione e la realizzazione di vie di comunicazioni hanno contribuito all'esbosco dell'originaria selva. Successivamente i Romani destinarono alcuni boschi a culto religioso come la Selva di Ariccia e le selve delle coste del lago di Nemi elevandole a rango di bosco sacro, e quindi preservandone di fatto lo stato naturale. A seguito della caduta dell'Impero Romano e durante il medioevo in generale, la mancanza di una cultura religiosa specifica e l'impoverimento delle popolazione locali ebbero come conseguenza l'incremento delle attività umane e quindi della richiesta di legname per attrezzi agricoli, pali per l'agricoltura e legname per la fabbricazione di tini, botti, bigonce, oltre al legname per l'edilizia, tetti, mobili e quant'altro. Questa incessante attività e necessità di reperimento di materie prime ha inciso notevolmente sul paesaggio vegetale originario, modificandolo massicciamente. Buona parte della fascia vegetazionale a roverella è stata sostituita dalle coltivazioni e dal pascolo, mentre l'antico bosco misto originario è stato in gran parte sostituito dal castagno adibito al taglio periodico. Così, dell'antico bosco restano soltanto testimonianze residuali localizzate sul territorio a macchia di leopardo: il Cerquone, il bosco dei Cappuccini, il parco Chigi, il bosco Ferentano, il parco Colonna, le coste dei laghi Albano e Nemi, le sommità di Monte Cavo e del Maschio d'Ariano, la Macchia dello Sterparo e la Selva Rustica sono alcuni dei boschi misti di latifoglie mesofile sopravvissuti. Completamente scomparsa invece la faggeta, anch'essa sostituita dai boschi di castagno.
La ricca flora locale conta, tra le altre specie, fiori vistosi come narcisi dei poeti, orchidee, il localizzato storace, la peonia selvatica e il giglio di San Giovanni.
L'attività vulcanica nel distretto dei Colli Albani, detto anche Vulcano Laziale, ebbe inizio attorno ai 600.000 anni fa e si è protratta a lungo. All'interno di una preesistente cavità circolare o caldera di cui restano i rilievi del "recinto esterno" (Tuscolo e monte Artemisio), si formò un cono vulcanico più piccolo con bocca craterica presso la località Campi di Annibale ed un cinto calderico più interno di cui sono testimonianza il monte Cavo e il monte delle Faete. L'attività del Vulcano Laziale, dopo periodi di quiescienza e una fase denominata freatomagmatica tra 45.000 e 10.000 anni fa, fu l'ultima ad esaurirsi in tutta la regione.