La riserva è situata a confine tra le Province di Roma e di Rieti, nel territorio dei Comuni di Fara in Sabina, Castelnuovo di Farfa, Nazzano, Torrita Tiberina e Montopoli di Sabina, lungo il basso corso del fiume Tevere.
La massima elevazione riscontrabile nell'area protetta è 202 metri s.l.m., corrispondente alla collina a destra di Nazzano, mentre la minima di 30 metri s.l.m. è riferita alla superficie del Lago. Il suo perimetro è delimitato, partendo da nord e procedendo in senso orario, dal Ponte di Montorso nel Comune di Torrita Tiberina, dalla ferrovia Roma-Orte, dalla diga ENEL di Nazzano, dalla Strada Provinciale Tiberina fino all'altezza del Km. 31,000. Da qui il confine della riserva piega verso gli abitati di Nazzano e Torrita Tiberina e, seguendo le anse del Tevere, si richiude sul Ponte di Montorso. Il Comune di Montopoli di Sabina è invece distante dall'area protetta.
L'area è estesa per circa settecento ettari, metà dei quali occupati dalle anse del fiume, dal lago di Nazzano e dal tratto terminale del torrente Farfa che confluisce nel Tevere in riva sinistra a circa 1500 metri dalla diga ENEL.
La fauna che popola il ZSC/ZPS IT6030012 Riserva Naturale Tevere Farfa è estremamente diversificata e ricca. Gli uccelli rappresentano la parte preponderante dei vertebrati terrestri sia in termini numerici sia in termini di varietà di specie, con una netta prevalenza dei PasseriformI negli ambienti agro-forestali e di non PasseriformI negli ambienti umidi. I mammiferi sono rappresentati da un discreto numero tra le specie più comuni e ubiquitarie come l’Istrice , il Cinghiale , il Tasso , la Volpe, il Gatto selvatico ( di recente segnalazione, Angelici C. D’Antoni S.) e tra le specie alloctone la nutria , inoltre non mancano emergenze di particolare interesse come i chirotteri.
Altrettanto ricca e varia è l’erpetofauna che si giova della presenza di ambienti tipologicamente differenti e ben conservati. L’ittiofauna è simile a quella di altri corsi d’acqua e bacini dell’Italia centrale per la contemporanea presenza di specie autoctone e di altre alloctone. Tra tutte le aree del SIC/ZPS, la zona umida riveste una significativa importanza come area di sosta sulle rotte di migrazione di uccelli, con particolare riguardo alle specie che vivono e si alimentano in ambiente acquatico.
Allo stesso modo l’area fornisce habitat a una ricca diversità di pesci e anfibi. Infine, benché non si rilevino forme endemiche a distribuzione ristretta o relitte, il popolamento comprende numerose specie di interesse comunitario che ne fanno comunque un’area di elevato interesse faunistico nella Regione e nella aree di rete Natura 2000. Lungo il corso del fiume Farfa, recenti studi hanno confermato la presenza di specie di rilevante importanza come Cavedano (S. squalus), Ghiozzo di ruscello (P.nigricans) e Lampreda di ruscello (L. planeri).
Nel Lazio la riserva rientra tra le dieci zone umide più importanti e ospita un popolamento animale di grande interesse, con particolare riferimento agli uccelli. La maggiore concentrazione è registrata durante i mesi invernali, quando l'avifauna arriva a contare oltre 1300 unità tra cui abbondano soprattutto folaghe, moriglioni e alzavole. In primavera è frequente il passaggio e la sosta di milicoli quali il cavaliere d'Italia, il piro piro piccolo, l'avocetta e molte altre specie. Una ricerca scientifica pubblicata a cura della riserva ha documentato e quantificato il popolamento avifaunistico. Sappiamo così che, per esempio, le coppie nidificanti di svasso maggiore sono circa 13, quelle di nibbio bruno 3-4 (stimate), quelle di folaga circa 20. In anni recenti è documentata la nidificazione ormai regolare del falco pellegrino, su una falesia di arenaria della scarpata valliva, e a partire dal 2007 anche dell'airone cenerino (dal 2008 con due coppie), unico caso nel Lazio.
Tra i passeriformi sono diffusi il cannareccione, la cannaiola, il migliarino di palude, il pendolino; presenti pure i più grandi e terricoli porciglione, gallinella d'acqua, tarabusino.
Con un po' di attenzione ci si può imbattere anche in una raganella o in una nutria, che più spesso si osserva in acqua nei suoi spostamenti a nuoto tra una sponda e l'altra.
Perlopiù nei lembi boschivi trascorrono le ore diurne animali come il cinghiale, il tasso, la volpe, l'istrice, che durante la notte escono alla ricerca di cibo avvicinandosi alle sponde e ai campi coltivati, estesi in particolare tra le anse fluviali. Tra anfibi e rettili, inoltre, va contata un'altra ventina di specie tra cui tritone crestato, rospo smeraldino, raganella italica, geco verrucoso, saettone.
Una delle conseguenze più evidenti e interessanti della costruzione dello sbarramento del Tevere per la produzione di energia elettrica, e della conseguente diminuzione della corrente, è stata la formazione, tra l'acqua e la terra, di ampie zone di canneto.
Lungo il tratto del basso corso del Tevere, in corrispondenza della confluenza con il Farfa, una ampia ansa del letto del fiume ha eroso, nel Quaternario recente, i terreni della riva destra, isolando i promontori di ghiaie e sabbie fluviali su cui sorgono gli antichi centri di altura di Nazzano e Torrita Tiberina.
Sulla scarpata del terrazzo tracce di un paesaggio agrario arcaico a campi chiusi si succedono a lembi di foresta mista submediterranea , nella cui compagine, sui siti più esposti a Sud e più acclivi, persistono popolazioni di specie della foresta mediterranea sempreverde costiera, a testimonianza di una antica penetrazione più all'interno nell'Appennino rispetto ad oggi, di tutto il complesso della vegetazione termofila. Ma sugli ampi depositi alluvionali lungo le rive, lembi della foresta planiziale e delle boscaglie alveali a pioppi, salici e ontani, orlano ancor oggi vaste aree di seminativo, strappate a quella che doveva essere una vasta steppa antropica creata nel tempo dalla sosta, qui, presso un passaggio sul Tevere in prossimità della strozzatura del promontorio di Torrita Tiberina, dei grandi greggi in movimento verso le pianure costiere.
La particolare topografia alveale ha consentito lungo questo tratto del corso del Tevere, la persistenza di una complessa zonazione di ciperogramineti e lamineti elofitici, erbai palustri e lembi di foresta semisommersa a ontano e salice bianco; altrove questa ampia articolazione della vegetazione igrofila è stata completamente annientata dalle modificazioni indotte dall'agricoltura intensiva dell'ultimo secolo. Uno sbarramento recente, creato a valle della confluenza col Farfa, ha inoltre fornito, negli ultimi decenni, le condizioni di sedimentazione favorevoli a una progressiva estensione del canneto e di alcune forme di vegetazione acquatica a carattere più prettamente lacustre che fluviale. Qui infatti il canneto a Cannuccia di palude (Phragmites australis) si estende su vaste superfici e non si presenta nel classico assetto rigidamente lineare subparallelo alla riva, caratteristico dei tratti di sponda fluviale a monte della confluenza. Inoltre, nelle insenature più protette dal vento e dalla già debole turbolenza della corrente, si accantonano tappeti di specie natanti e fronde flottanti di specie a fisionomia “ninfeoide” radicate al fondo. Si tratta cioè di frammenti di una zonazione vegetazionale tipicamente lacustre, caratterizzata dalla disposizione, concentrica a uno specchio d’acqua praticamente immobile, di fasce di vegetazione dominate da specie rigorosamente classate rispetto alla conformazione di un litorale in debole pendio in base alle loro caratteristiche funzionali e adattative.
Si tratta di un ambiente di grande interesse naturalistico, anche perchè vi si rifugiano tantissimi uccelli, molti dei quali vi costruiscono il nido. Una formazione vegetale molto simile al canneto, e che può anche mescolarsi con quest'ultimo, è il tifeto. Come suggerisce il suo stesso nome, le piante più tipiche di questa formazione non sono le canne ma le tife.
La vegetazione forestale è costituita prevalentemente da boschi di pendio accantonati sui terrazzi fluviali più antichi e lontani dal fiume. La foresta mista a caducifoglie termofile e la foresta sclerofilla sempreverde mediterranea sono presenti nella riserva. Avvicinandosi progressivamente alle rive del fiume, è sempre più sensibile l'effetto indotto dalla presenza di un corpo d'acqua sulla composizione floristica della foresta, che si arricchisce di specie che tollerano un più o meno lungo periodo di sommersione. Bosco ripariale, bosco di palude e boscaglia alveale si avvicendano lungo le rive in funzione della topografia piu o meno pianeggiante dell'alveo. Accanto alla boscaglia alveale, sui terreni meno disturbati dalla corrente del fiume e dunque non acquitrinosi, si sviluppa il bosco ripariale dove si trovano il pioppo bianco e il pioppo nero, entrambe specie che non sopportano l'acqua stagnante.
Subito a ridosso del canneto, dove il suolo rimane allagato per molti mesi, ma non per tutto l'anno, si forma il bosco di palude, bosco umido per eccellenza che presenta una delle formazioni vegetali più caratteristiche della riserva.
Si tratta di un bosco formato da alberi che vivono quasi sempre con la base del fusto e le radici completamente immerse nell'acqua. Vicino al fiume a immediato contatto con la corrente, dove la riva è piuttosto bassa, ma il terreno allagandosi solo in occasioni di piene non forma paludi o canneto, si trova invece la boscaglia alveale. Questo ambiente è formato da piante a portamento cespuglioso o da piccoli alberi.
Popolazioni di salici, fra cui il salice rosso (Salix purpurea) e il salice delle capre, si allineano lungo le sponde resistono all'azione meccanica della corrente rigenerandosi dopo il passaggio delle piene, che, pur sramandoli, ne depositano più a valle i rami che producono nuove radici nella fanghiglia delle anse fluviali.
L’area della Riserva occupa una parte modesta dell’antica piana alluvionale del Tevere.
Le formazioni geologiche affioranti all’interno dell’area e nelle sue dirette adiacenze vanno dal Pliocene (circa sette milioni di anni fa) al quaternario (olocene) e sono costituite dalla seguente successione: Depositi del ciclo sedimentario marino Plio-Pleistocenico: sono costituiti da sedimenti marini infralitorali: sabbie, argille, conglomerati poligenici cementati e sciolti.
Alla base sono presenti argille plioceniche.
Formazioni vulcaniche: comprendono tufi litoidi, scarsamente gradati, e i tufi gialli, più omogenei e costituiti da lapilli, scorie, ceneri e frammenti lavici. Provengono dall’attività freatomagmatica degli apparati Sabatini e risalgono al pleistocene inferiore e medio. Alluvioni: sono dovute a due ordini di terrazzi, costituiti da depositi attuali e depositi più antichi, i quali presentano alternanze di ghiaie, sabbie e argille.