Ogni pianta del promontorio di Monte Orlando ha una storia legata a diversi fattori quali il passaggio di uccelli migratori, il suolo in cui è nato il seme, l'esposizione al sole, la vicinanza ad altre piante, la storia degli uomini che sono vissuti e vivono tuttora in questi luoghi. L'associazione vegetale più diffusa è la Macchia Mediterranea. In essa ritroviamo alberi di piccola o media taglia e arbusti. Nel versante meridionale del monte, la macchia mediterranea degrada raggiungendo lo stadio di "gariga", una formazione vegetale formata da specie che meglio si adattano a terreni poveri e intensamente irradiati dai raggi del sole.
Il promontorio rappresenta un'importante stazione nelle rotte dell'avifauna migratrice e anche, data l'inaccessibilità di alcuni dei suoi ambienti rupestri, sicuro riparo per la fauna stanziale. È comune, quindi, ammirare, in primavera e autunno, le evoluzioni di aironi, falchi pecchiaioli, gheppi, gruccioni, upupe, nibbi, albanelle e perfino cicogne. Altrettanto comune è anche scorgere picchi, passeri, cormorani e gabbiani e di notte udire i versi di barbagianni, allocchi, assioli o il fruscio di roditori come il ghiro. In ogni caso bisogna rilevare come la fauna terrestre non possa non subire forme di condizionamento dovute alla forte antropizzazione del contesto in cui la piccola area naturale protetta di Monte Orlando è inserita.
Lo specchio di mare (in consegna) antistante le falesie ospita, tra gli scogli affioranti e sui fondali profondi anche oltre 30 metri, numerosi organismi della flora e della fauna marine: alcuni risultano molto comuni in ambiente mediterraneo, altri invece rappresentano delle vere "sorprese".
Il Parco di Monte Orlando, rappresenta un approdo di rilevante importanza per i flussi di avifauna migratoria che muovono in direzione delle coste tirreniche e un sicuro rifugio per altri uccelli stanziali che trovano, tra i boschi e le rocce inaccessibili delle falesie, un habitat spesso ottimale. Il volteggiare di uccelli durante gradevoli giornate di autunno o di primavera e i versi dei rapaci notturni, rappresentano quindi, da un punto di vista faunistico, l'aspetto più rilevante di quest'area naturale. Di contro la fauna terrestre, data anche la forte antropizzazione circostante, si limita ad esemplari di roditori quali il toporagno, la crocidura, il topo campagnolo e, stranamente, poiché questo non è il suo ambiente di elezione, il ghiro. Altri rettili ed anfibi minori sono la lucertola muraiola, la luscengola, il biacco, tra i primi, la rana verde, il rospo comune e la raganella, tra i secondi.
Tra gli uccelli migratori sarà possibile avvistare, in numero differente, rondini, rondoni, upupe, gruccioni, albanelle, cicogne, falchi pecchiaioli, aironi cenerini, garzette, falchi di palude e nibbi. Tra quelli stanziali troveremo consistenti popolazioni di gabbiani e cormorani che riposano sulle scogliere dopo intense battute di pesca ma anche i martin pescatore, i picchi muraioli e diversi passeriformi. Meno diffusi ma comunque presenti in buon numero gheppi, poiane e i maestosi falchi pellegrini. Tra i boschi, non sfuggirà al visitatore più attento il tipico verso soffiante del barbagianni mentre il silenzio notturno, invece, è rotto sovente dai versi di rapaci notturni quali assioli, civette e, in misura minore, allocchi. I loro versi sono stati, per lungo tempo, ritenuti dalla credenza popolare, premonizione di disgrazie e sventure. Udendoli dovremmo, invece, considerare l'importante ruolo che questi volatili svolgono nell'ecosistema, quali controllori delle popolazioni di roditori.
Approfondimenti sugli aspetti faunistici di Monte Orlando
Monte Orlando è un luogo che mostra chiare testimonianze di presenza umana fin dall'epoca romana con attivismo militare protrattosi fino alla Seconda Guerra Mondiale. La vegetazione ha inevitabilmente sofferto questa pressione antropica. Nonostante tutto, esistono i presupposti perché essa gradualmente tenda a riavvicinarsi al suo stadio originario. Considerate le condizioni climatiche, che mutano anche a distanza di poche centinaia di metri, possiamo ben riconoscere 4 forme vegetazionali caratteristiche: il bosco, la macchia bassa, la gariga e la vegetazione rupestre.
Il bosco occupa l'areale nord-occidentale ed è prevalentemente formato da lecci. La presenza di pini e roverelle è dovuta al rimboschimento effettuato intorno al 1850 durante il periodo del Regno Borbonico. Le attività agricole del passato hanno lasciato la loro traccia nel bosco, dove si ritrovano un buon numero di olivi. I carrubi, le cui bacche sono appetitissime ai cavalli, mostrano come tali alberi fossero stati impiantati con finalità militari. I settori più umidi del bosco favoriscono la presenza di alloro e biancospino. Qui abbiamo anche esemplari importanti di mirto e lentisco che, a causa della minor esposizione al sole, hanno tratti distintivi diversi da quelli abbondantemente presenti, in altri settori del monte. Tra le specie rampicanti ricordiamo l'edera, l'asparagina, lo smilace, la rubia peregrina e la vitalba.
La macchia bassa di Monte Orlando è stata certamente condizionata dagli incendi succedutisi prima della sua messa in protezione. Le specie arboree presenti oggi, nate da rigenerazione da ceppaia, ossia da piante già arse, si adattano alle peculiarità del terreno in cui vivono. Da considerare anche la competizione tra le specie per accaparrarsi i raggi della luce solare. Così l'erica arborea ed il corbezzolo popolano densamente i terreni sub-acidi, mentre scompaiono dove l'acidità diminuisce. I terreni calcarei ospitano la vegetazione maggiormente degradata: avremo qui, sotto forma di cuscini discontinui, mirti, lentischi, cisti, ampelodesme.
Tutto il settore esposto a sud, caratterizzato da aridità, accentuata insolazione ed esposizione ai venti, presenta una vegetazione discontinua allo stadio di gariga, formata da lentischi, eriche, cisti marini, ginestre spinose e rari esemplari di carrubazzo e terebinto. Le condizioni estremamente sfavorevoli determinano, però, anche la crescita di piante localmente esclusive come Ornithogalum arabico, gladioli, e numerosi agli. A queste, perenni, se ne associano altre annuali che si seccano con il sopraggiungere del caldo. La gariga è ambiente d'elezione di molte orchidee, alcune delle quali presenti in buon numero, altre rare come la Spiranthes spirali, l'unica europea a fioritura autunnale.
L'inaccessibilità delle falesie ha favorito lo sviluppo di una vegetazione che si è conservata quasi del tutto inalterata. Annoveriamo, così, tra le piante rupestri a picco su mare, il pino di Aleppo, di cui studi recenti hanno dimostrato il carattere autoctono. Di grande importanza sono le palme nane autoctone dell'Europa continentale, ultimi esemplari scampati alla depredazione di coloro che ne hanno ornato i giardini privati. Troviamo anche la Lavatera maritima, il raro Convolvulus siculum, diffuso in Sicilia e Sardegna ma rarissimo nell'Italia continentale. Di straordinaria rarità l'Asplenium petrarchae, una felce che vive in piccolissime fessure. Da menzionare, infine, la rara Daphne sericea, la lavandula, il rosmarino, la ferula, l'elcrisio, la cineraria, la barba di Giove, l'euforbia arborea e il finocchio marino.
Approfondimenti sugli aspetti vegetazionali di Monte Orlando
Le falesie di Monte Orlando sono una naturale "fotografia" della composizione delle montagne, che formano la catena degli Aurunci, di cui Monte Orlando è una prosecuzione. Si tratta di una pila di strati di rocce carbonatiche: quando sono composte prevalentemente da carbonato di calcio sono dette calcari mentre quando prevale il carbonato di calcio unito al magnesio sono dette dolomie. Si sono formate nel Cretaceo (circa 135 milioni di anni fa) in un ambiente marino simile alle attuali piattaforme coralline delle Bahamas. Gli organismi monocellulari, le alghe e i molluschi che vivevano nel mare poco profondo e cristallino, fissavano il calcio contenuto nell'acqua. Dopo la loro morte, le parti dure di questi organismi si accumulavano in fondo al mare, insieme al fango. Questo meccanismo ha dato quindi origine alla deposizione di vasti strati carbonatici compensando lo sprofondamento della piattaforma terrestre. Alla fine del Cretaceo, cioè 65 milioni di anni fa, è iniziato quel processo che i geologi chiamano orogenesi e che porta all'emersione, inizialmente come isole poi come catene montuose, dei sedimenti depositatisi in mare. Il motore di tutto ciò è stato lo scontro tra la placca africana e quella eurasiatica che ha causato sollevamenti, compressioni e sovrapposizioni, pieghe e rotture degli strati rocciosi.
Una testimonianza di questi eventi è ben visibile nelle fratture delle falesie di Monte Orlando. La famosa Montagna Spaccata, altro non è che una faglia, cioè una rottura delle rocce con movimento delle parti; questo meccanismo genera anche i terremoti.