Latte di pecora lavorato crudo, caglio vegetale di carciofo o di cardo selvatico (Cynara cardunculus o Cynara scolimus) i cui fiori sono raccolti nel periodo estivo; due rotture della cagliata, di cui la prima a quadratoni e la seconda effettuata dopo 20 minuti di sosta, a chicco di cece, formatura in fascere parallelepipede, salatura a secco e stagionatura per 30-60 giorni su assi di legno.
Nasce così il formaggio cacio fiore, prodotto tradizionalmente da ottobre a giugno e recentemente recuperato da alcuni caseifici della provincia di Roma, che hanno iniziato a elaborare questo particolare prodotto servendosi di un antico documento di arte casearia.
Il cacio fiore presenta la caratteristica forma di una mattonella con uno scalzo convesso di circa 5 cm, il peso che va da 0,5 a 1 kg, la crosta è grinzosa e giallognola, la pasta è morbida e cremosa con leggere occhiature, il profumo è deciso con sentori di carciofo e verdure di campo, il sapore è intenso, non salato e lievemente amaro.
Nel 50 d.C. Lucio Giunio Moderato Columella, scrittore latino, nel De Re Rustica scriveva: "Conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere con il fiore del cardo silvestre o coi semi di cartamo o col latte di fico. In ogni modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento".