Si tratta di una barca di tipo tradizionale a fondo piano senza carenatura, con lo scafo di forma rettangolare, rastremato alle due estremità, cioè possiede due prue, simmetriche, egualmente rialzate rispetto al fondo dello scafo. La sua origine è arcaica e resta per molti aspetti incerta; infatti, per quanto attiene alla tipologia costruttiva, ci sono pochi riscontri sul territorio nazionale. In dialetto postese è chiamata “nàue” probabilmente l’etimo del nome risale alla parola latina “naves”.
Gli antichi romani avevano diverse categorie di navi e barche, tra queste troviamo le “fluviatiles naves”. Si tratta di piccole barche fluviali con fondo piatto e senza chiglia, utilizzate per navigare in zone d’acqua fluviale o paludosa poco profonde. Il metodo costruttivo, con scafo portante, (non c’è una costolatura interna che mantiene unito il fasciame), composto di pochi elementi lignei, fa presupporre una sua derivazione ancora più primitiva, dalle zattere primigenie o dalle antiche monossili con l’aggiunta di tavole laterali per aumentarne la capacità di carico
Con il progredire della tecnologia e degli attrezzi si è giunti alla realizzazione di un optimum che è stato tramandato nel corso degli ultimi secoli. Le ultime imbarcazioni interamente in legno furono realizzate fino agli inizi degli anni Settanta del Novecento; poi, pian piano, lo scafo di legno è stato sostituito da quello di metallo. Oggi gli scafi sono realizzati in lamierino metallico pur cercando, per quanto possibile, di rispettare le dimensioni standard.
Originariamente la loro costruzione prevedeva l’utilizzo di tavoloni di roverella (Quercus pubescent), segati e poi sbozzati con l’ascia. Erano assemblati con chiodi di ferro, a sezione quadra, forgiati appositamente per ogni barca; la chiodatura era effettuata secondo uno schema preciso previa la preparazione dei fori. Dopo le giunture tra l’una e l’altra tavola erano sigillate con una miscela collosa di muschio e farina. Si utilizzava il legno di quercia per due motivi: in primo luogo era facile reperirlo, poiché è la specie arborea che popola maggiormente le colline circostanti il lago; secondariamente dai tronchi si riusciva a ricavare dei tavoloni abbastanza larghi e robusti da potere essere impiegati come fondo dello scafo.
Il legno di quercia era preferito anche per altri motivi, ha una buona resistenza agli urti e all’acqua. Siccome la nàue era un bene della famiglia, e doveva durare negli anni, essa andava mantenuta efficiente, pertanto quando non era utilizzata, non veniva tirata a secco sulle rive ma immersa completamente nelle acque basse. In questo modo il legno del fasciame, essendo interamente a contatto con l’acqua, non rischiava né di fessurarsi né di ondularsi.
Gli strumenti di propulsione, per la navigazione nel lago e nei canali, sono principalmente due: la pala e il palone. La pala è il remo principale, costituito da un’asta, in castagno o ornello, di circa quattro metri, alla cui estremità è applicata una tavola (la pala), piatta, generalmente sagomata a modo di trapezio, in legno di salice o di noce. Nelle acque più profonde del lago si usa la pala manovrando come una pagaia, immergendola quanta basta, per dare la spinta in avanti ed equilibrare la barca con il peso del corpo; nelle acque basse e paludose, all’interno dei canali e nel canneto, si utilizza la pala per far forza sul fondale e spingersi in avanti.
Il palone, una sorta di grosso cucchiaio in legno (sassola o sessola - simile a un esemplare ritrovato nel corredo di un’antica nave romana rinvenuta a Comacchio) con un corto manico, utilizzato per sgottare la barca e all’occorrenza per essere utilizzato anche come remo secondario. Era realizzato intagliando con l’ascia un tronco di salice o di pioppo (legni teneri).
Fino a qualche ventennio fa, queste imbarcazioni erano utilizzate sia per la pesca, per il taglio delle erbe acquatiche, per la raccolta del terreno limoso sul fondo del lago e sia per il trasporto delle persone e all’occorrenza anche di piccoli animali, attraverso il reticolo dei canali, all’interno del pantano, per recarsi a lavorare le terre bonificate, sulla riva opposta all’abitato.
In passato non erano solo gli uomini abili barcaioli ma all’occorrenza anche le donne postesi avevano confidenza e maestria nella conduzione della nàue. Era un mezzo fondamentale per le attività dell’economia familiare, era utile per il carico e il trasporto dei materiali (terra, letame, legna etc.).
Non era solo un mezzo di lavoro ma spesso i giovani (e anche i meno giovani) si sfidavano in vere e proprie gare di voga sul lago. Secondo la tradizione era durante le festività del mese di agosto che si organizzavano queste gare, che richiamavano lungo le rive del lago un folto numero di spettatori e curiosi.
C’è da segnalare la lodevole l’iniziativa di un’associazione del posto che ha promosso il progetto e la realizzazione, attraverso la mano d’opera di persone del luogo, della costruzione di una nàue, cercando di attenersi e di rispettare i canoni costruttivi del passato seppure usando gli strumenti e i mezzi del presente.
Oggi, le ultime, sono utilizzate quasi esclusivamente per la pesca e a volte per lo sfalcio delle erbe acquatiche e raramente c’è qualche nostalgico che chiede di fare il giro del lago sulla nàue come si usava fare in passato, prima che arrivassero i pedalò.