Quanto ne sappiamo del sottosuolo dei luoghi che più amiamo o frequentiamo? In genere pochissimo, a meno di non essere degli addetti ai lavori.
Al riguardo, per ampliare le informazioni su una zona “del cuore” del nostro territorio, Torre Alfina con il Bosco del Sasseto, la Riserva Naturale Monte Rufeno ha da pochi mesi stipulato una convenzione con l’Università di Chieti, anche con lo scopo di candidare questo antico centro vulcanico a geosito di rilievo nazionale. Qui le conoscenze geologiche pregresse indicavano una breve attività vulcanica risalente a circa 820.000 anni fa, con un piccolo vulcano centrale a bassa esplosività la cui bocca, posta in corrispondenza del castello, ha eruttato soprattutto colate laviche.
Le indagini recenti dei ricercatori di Chieti si sono soffermate innanzitutto su alcuni frammenti chiamati xenoliti inclusi nelle lave, brandelli di rocce della crosta, o del più profondo mantello, strappati dal magma in risalita durante l’eruzione, che stanno offrendo importanti informazioni per ricostruire la stratigrafia e l’assetto profondo di questo settore dell’Italia centrale. Gli xenoliti di mantello, in particolare, sono difficili da trovare, di colore verde e struttura diversa rispetto ai più comuni inclusi crostali, con una profondità di provenienza stimata di circa 60 km. La loro presenza altrove è stata rinvenuta solo al M. Vulture in Basilicata così che queste rocce rappresentano una vera rarità per l’Italia peninsulare, un unicum assoluto per il centro Italia e, se analizzate con strumenti adeguati, potranno meglio descrivere, dal punto di vista mineralogico e geochimico, le caratteristiche del mantello superiore.
Ma non è finita… Una recentissima campagna di rilevamento volta a realizzare una carta geologica di dettaglio dell’area, anche attraverso lo studio delle pareti di di alcune cantine della zona, ha messo in evidenza che molto probabilmente l’attività del centro non era di tipo centrale, ossia con un unico punto di emissione, bensì “fissurale”, con più bocche eruttive, tra cui quella del castello, allineate lungo un’antica faglia. Lo dimostrano le brecce di esplosione, trovate quasi sempre in prossimità di rilievi lavici isolati, allineati fra loro, che rappresenterebbero dei veri e propri condotti di alimentazione delle bocche stesse.
Insomma stiamo assistendo in diretta, nel nostro territorio, a come la ricerca continua possa aggiornare e arricchire le conoscenze. Se i rilievi e le ipotesi attuali saranno poi suffragati dai dati di laboratorio il centro vulcanico di Torre Alfina potrebbe diventare non solo un geosito di importanza, a questo punto, internazionale, ma anche un laboratorio permanente di studi sulla crosta terrestre profonda e sul mantello al di sotto, nonché un polo museale e interpretativo all’aperto sulle dinamiche dei vulcani.
Filippo Belisario