L’ISPRA (Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha espresso un parere in merito ad una richiesta della Regione Abruzzo di prolungare al 31 gennaio la caccia al cinghiale. Da questo parere si evince chiaramente come la caccia, nello specifico la forma collettiva in braccata, non serva né a contenere la popolazione dei cinghiali, né a risolvere i problemi legati ai danni alle coltivazioni e all’incolumità umana.
I risultati di una serie di studi effettuati e di dati raccolti dall’ISPRA, che rappresenta il massimo organo italiano competente in materia di faunaselvatica, suggeriscono come la caccia modifichi la struttura sociale e genetica delle popolazioni e il loro comportamento, favorendo la produttività nelle femmine; rappresenta inoltre una forma di disturbo ambientale per il cinghiale, intensificando il rischio di frammentazione dei gruppi familiari e favorendo l’allontanamento incontrollato dei cinghiali. Ciò determina una maggiore mobilità verso le aree meno disturbate, aumentando di conseguenza i danni e gliincidenti stradali, così come il rischio di diffusione di malattie.
Ovviamente, nelle aree naturali protette la caccia è vietata per legge ma come Parco ci troviamo costantemente ad affrontare le problematiche relative aidanni da cinghiale, anche perché ciò che accade al di fuori dei confini protetti inevitabilmente condiziona anche le aree protette stesse. A questo proposito l'A.T.C. (Ambito Territoriale di Caccia) RM2, ha recentemente aggiornato la cartografia spostando ulteriormente i confini dell’area contigua al Parco dove è possibile cacciare il cinghiale, al fine di esercitare una minore pressione venatoria sull’area protetta. Come Ente preposto alla tutela della fauna selvatica, da anni sosteniamo la tesi, avallata anche dall'ISPRA, sull’inefficacia di questa forma di caccia e più in generale di alcune forme di prelievo venatorio, cercando invece di sensibilizzare e incentivare l’utilizzo di metodi di prevenzione, come le reti elettrificate o elettrosaldate per contrastare i danni provocati dai cinghiali o altre specie.
È appurato quindi che l’equilibrio faunistico di un territorio non può dipendere dall’attività venatoria e che, soprattutto nei Parchi, dipende da una gestione oculata del territorio che porti a ristabilire gli equilibri naturali spesso alterati per mano dell’uomo, cosa che sta lentamente accadendo con il ritorno del lupo, predatore dei cinghiali, nel nostro territorio.
Al di là delle aree naturali protette, dove la tutela è regolata da normative specifiche, il mantenimento di un ambiente sano non può prescindere dal senso di responsabilità collettivo. In questo contesto il parere dell’ISPRA porta a riflettere su come, per risolvere le criticità, non sia sempre necessarioeliminare la “causa” (soprattutto se la stessa veste i panni di un essere vivo e senziente); è invece basilare conoscerla, essere aperti al confronto ed individuare i metodi di prevenzione migliori.