Le aree protette regionali sono da considerare un vero e proprio scrigno, contenente un tesoro non solo naturalistico, paesaggistico, ambientale, ma anche culturale. Numerosi sono infatti i siti archeologici, le aree d'interesse storico e i paesaggi creati dall'interazione delle attività umane con l'ambiente naturale presenti all'interno di ogni parco o riserva regionale.
Tra di essi ne vogliamo ricordare uno, la rocca e il castello dei Prefetti di Vico, posseduto dall’omonima famiglia sin dal XII e fino al XV secolo.
Quella dei Prefetti di Vico è una casata che ebbe un ruolo di primaria importanza nel Medioevo. Di lontana origine germanica o longobarda, non è certo, fu tra le prime grandi famiglie feudatarie dell’Alto Lazio, al pari dei Colonna, degli Orsini o degli Alberteschi: suoi esponenti ebbero persino il privilegio di batter moneta. Il sentiero sale dall’area retrostante la chiesa di Santa Lucia (d’origine medievale) fino all’altura sulla quale sorgeva una rocca fortificata, distrutta una prima volta attorno al 1365 dalle truppe pontificie e poi nel 1431 da Everso degli Anguillara, signore di Ronciglione, per conto del cardinal “guerriero” Giovanni Vitelleschi, impegnato ad affermare il potere della Chiesa in un periodo di lotta tra i sostenitori del papa e quelli dell’imperatore, come appunto i Prefetti di Vico. Ma perché vennero edificati qui una rocca fortificata ed un castello? Nel X secolo, persistendo un periodo di crisi causato dalle frequenti incursioni saracene dalle coste tirreniche all’entroterra, si assistette al fenomeno dell’incastellamento, ossia alla fondazione di abitati su altura, difesi sia da pareti scoscese che da apposite opere murarie. Anche il “Castellaccio” divenne un castrum, un centro fortificato. Nel corso del XIII secolo le tre unità distinte che lo costituivano, il borgo lungo la strada per Roma, la rocca, una residenza signorile fortificata sull’altura e il castello, anch’esso fortificato, divennero un’unica entità abitativa mediante la realizzazione di una cinta muraria di protezione (nella foto). Di questa rimangono qui accanto pochi lacerti, sufficienti però a delineare l’organizzazione urbanistica del sito, che aveva la funzione di controllo della Via Ciminia sottostante, una vera e propria “autostrada” dell’antichità che collegava Roma alla Toscana e al nord Italia.
La carica di “Prefetto” dell’Urbe, di cui furono investiti 1198 da Innocenzo III in eredità perpetua, prevedeva, tra l'altro, il controllo e la sicurezza delle vie che conducevano a Roma: la famiglia aveva dunque una consolidata esperienza in materia di “gestione” della viabilità e conoscevano l’importanza economica di tale attività. Attraversato un boschetto di roverelle ed aceri tra i quali affiora chiaramente la matrice vulcanica che costituisce il piccolo colle (e quello più verso est chiamato localmente “monte Tosto”), si giunge con un dislivello di circa settanta metri ad una sommità sulla quale sono ancora oggi presenti numerosi resti delle murature che costituivano l’antica rocca. Dopo la distruzione definitiva del Castello, il borgo continuò ad essere abitato, con un’economia legata alla pesca, all’allevamento e alle attività dei ristoratori: vi si poteva ricevere alloggio e mangiare, vista la strategica ubicazione sull’importante via di comunicazione. Uno sviluppo ulteriore si ebbe dal 1537 con la valorizzazione della “Strada Romana” operata dai Farnese a seguito dell’istituzione del Ducato di Castro e Ronciglione, i quali riscuotevano, così come i di Vico loro predecessori, le gabelle per il transito di merci, animali e persone e amministravano le attività d’alloggio e ristorazione. Nel periodo di massimo splendore era costituito da una quarantina di edifici disposti ai lati della strada: ne rimangono solo i due tra i quali si sviluppava l’abitato, la chiesa di Santa Lucia sotto questa, altura, e l’antica Osteria, più a nord lungo la strada. I Farnese commissionarono una serie di interventi che portarono all’abbassamento del livello delle acque del lago: aumentarono i terreni da impiegare nelle coltivazioni e nell’allevamento, fu edificata una grande struttura destinata alla trasformazione su vasta scala dei prodotti lattiero caseari, il Procoio, più a nord. Tale sviluppo non era destinato a durare a lungo: nel 1788, su progetto dell'arch. Filippo Prada, fu realizzato il nuovo tracciato della Via Cimina, sita più ad est sul crinale della cinta craterica, oggi ricalcato dalla S.P.1 Cassia Cimina: ormai fuori dalle vie di comunicazione il borgo perse d’importanza e in breve fu abbandonato.
Oggi il luogo potrà essere nuovamente frequentato grazie al restauro e al consolidamento delle antiche strutture, alla realizzazione di un sentiero che sale sull'altura (CAI 128e), all'approntamento di un'area pic nic e alla realizzazione di una sovrastruttura in acciaio che consente di giungere alla sommità di una torretta idrica realizzata in loco negli anni '60 del secolo scorso, da cui si gode di una vista spettacolare sull'intero specchio d'acqua.
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