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Diga del Salto

    Era il 1940. In una valle dell'Appennino reatino, i cui lineamenti è difficile oggi scorgere nel paesaggio che avete di fronte, un gigantesco invaso si colmò d'acqua davanti a una diga alta cento metri sommergendo quattro paesi. L'avevano realizzato ottomila operai della Società Terni, assieme a quello vicino del Turano, per ricavarne energia elettrica. Gli abitanti di Borgo San Pietro, Teglieto, Fiumata e Sant'Ippolito ricevettero 60 centesimi di lira per metro quadro espropriato.

    Cento metri, la fecero alta. Grigia ed enorme, la diga sul fiume Salto fu eretta da ottomila operai assieme all'altra gemella del Turano e alle opere connesse, non ultime le case per ospitare quei residenti dei quattro paesi da sfollare che in taluni casi opposero una resistenza disperata. "La popolazione", raccontarono i giornali dell'epoca, "si mise a demolire un pezzo di muro: levavano con le mani alcuni blocchi di cemento, frantumavano i calcinacci gridando che era solamente arena senza calce, riempivano di sassi le buche preparate per le prime pietre, altri prendevano le misure e intimavano agli assistenti di rifare la chiesa nelle dimensioni della vecchia". Fu inutile. Andarono sott'acqua le case, i campanili, le strade. Ed edifici storici, come il monastero di Santa Filippa Mareri. Grazie soprattutto al lavoro e alla tenacia delle monache, però, furono salvati – oltre alle spoglie della santa – gli affreschi originali della cappella, il portone in legno di castagno, i mosaici cosmateschi, l'altare, gli arredi sacri, le reliquie, i tanti ex voto e gli oltre ottocento documenti tra pergamene, bolle papali e vescovili, donazioni, testamenti e contratti di affitto. Un frammento importante della storia di questo territorio, insomma, ora custodito nel nuovo monastero di Santa Filippa Mareri a Borgo San Pietro.

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