Il termine bracconaggio (caccia di frodo), indica l’esercizio dell’attività venatoria in violazione della legge in vigore. In tempi storici la selvaggina apparteneva a tutti ed era una delle principali fonti alimentari; nel Medioevo, la selvaggina divenne un esclusivo patrimonio dei feudatari, dei regnanti e dei loro ospiti. Il popolo privato di una delle fonti alimentari, ha dato vita al fenomeno del bracconaggio. I primi ad istituire il sistema delle riserve di caccia sono stati i Franchi, con lo scopo di accaparrarsi tutta la selvaggina come simbolo di potere e prestigio. Il bracconaggio venne quindi inserito nei codici penali dei regnanti e dei feudatari come furto verso la loro proprietà.
Con l'avvento delle nuove leggi sulla caccia negli Anni ‘90 del secolo scorso la selvaggina ha acquisito in quanto tale, lo status di patrimonio indisponibile dello Stato. Solo chi esercita la caccia con regolare licenza, nel rispetto della Legge 11 febbraio 1992 n. 157 in materia di "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", può prelevare, mediante l'abbattimento con i mezzi, nei luoghi e nei tempi indicati dalla legge, i capi di fauna selvatica cacciabile nel numero consentito e ne diventa legittimo proprietario. Qualsiasi altra forma di abbattimento o cattura di fauna selvatica è considerata bracconaggio e pertanto perseguita penalmente.
Alle regole della legge 157, che recepisce la Direttiva comunitaria “Uccelli” la quale prevede una serie di divieti e obblighi a cui i cacciatori sono tenuti ad attenersi, vanno però anche affiancate, tra le altre, quelle previste dalla legge sulle aree protette (394/91), sulla rete Natura 2000 (Decreto n. 184/2007 del Ministero dell'Ambiente) e le leggi di recepimento regionali.
Violare le norme e le regole stabilite da questi riferimenti normativi, sparare a specie protette, cacciare in tempi o in aree di divieto, cacciare con modalità e mezzi vietati, catturare illegalmente gli uccelli e gli altri animali protetti, identifica la figura del “bracconiere”.
Ancora oggi l’Italia è, purtroppo, terreno di bracconaggio diffuso. La maggior parte delle specie appartenenti alla fauna selvatica particolarmente protetta (cicogne, gru, rapaci, lupi, orsi, volpi ecc.) cadono spesso vittime dei bracconieri, dei fucili, delle trappole, dei bocconi avvelenati. Questa piaga resiste anche in tempi di mutate ragioni socio-culturali e la vigilanza nel nostro territorio è spesso sottodimensionata rispetto all’entità del fenomeno.
Gli organi di polizia sono tutti competenti in ordine ai reati di bracconaggio, particolarmente impegnati e specializzati nel campo sono: il Corpo forestale dello Stato, la Polizia Provinciale, i Corpi forestali regionali e delle province autonome e i Guardiaparco delle aree naturali protette di competenza.
Nel bracconaggio rientrano quindi atti e azioni, direttamente connesse all'abbattimento, alla cattura o alla detenzione di animali selvatici, in violazione alle norme vigenti:
• la caccia all'interno di aree protette
• la caccia e la pesca fuori dagli orari e dai periodi prestabiliti
• la caccia e la pesca fatta senza l'apposita licenza
• la caccia fatta senza rispettare i limiti massimi di carniere giornalieri e/o stagionali
• la caccia con balestre e strumenti non contemplati nei mezzi di caccia consentiti
• la caccia di animali di proprietà o per i quali qualcun altro ha legalmente il diritto esclusivo di caccia
• la caccia fatta usando tecniche illegali (uso di lacci; tagliole; reti; armi non previste dalla legge quadro o capaci di esplodere più cartucce rispetto a quanto la stessa norma prevede; richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono; sparando da automobili, natanti etc.)
• la caccia di animali che appartengono a specie a rischio, così come stabilito dalla legge quadro in materia o dal calendario venatorio vigente nella rispettiva regione di competenza, altresì sono specie protette, tutte le altre specie oggetto di tutela da parte di direttive comunitarie, convenzioni internazionali o con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, poiché dichiarate in via d'estinzione
• l'uccellagione nonché la cattura e la detenzione di fauna selvatica oggetto di tale apprensione illecita
• l'utilizzo di armi da fuoco con matricola abrasa, di modo che non si possa risalire al possessore
Le sanzioni penali che scattano nel momento in cui si violano le disposizioni vigenti, sono riportate nell’art. 30 della legge n. 157/1992, prevedono quasi tutte la possibilità di estinguere la pena con il pagamento di una somma in denaro, ma anche l’arresto per i reati più gravi quali l’abbattimento, la cattura o la detenzione di fauna protetta e per l’esercizio di caccia in periodo di divieto generale.
A tutela di molte specie sono intervenute nel tempo diverse direttive comunitarie, convenzioni internazionali e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Secondo la recente giurisprudenza, chi è colto nella cattura di fauna selvatica, privo di regolare licenza di caccia è passibile, oltre che delle violazioni specifiche previste dalle vigenti normative, anche del delitto di furto aggravato ai sensi degli artt. 624 - 625 del codice penale. Altre norme del codice penale o in materia di armi e munizioni, possono concorrere in diversi casi di bracconaggio.
Attualmente in tutte le regioni italiane, sul fronte dell’antibracconaggio sotto le sue varie forme, risultano attive numerose associazioni, soprattutto di protezione ambientale, che tramite propri volontari o guardie giurate venatorie volontarie, attuano attività di contrasto al fenomeno, supportando in questo modo, le forze dell’ordine preposte a proteggere la fauna selvatica, compito di fondamentale importanza per garantire la tutela degli ecosistemi.