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Il cerambice del faggio

Rosalia alpina

    Andiamo a conoscere un po’ più da vicino una delle specie di interesse unionale incontrate nella ZSC Monte Cagno e Colle Pratoguerra: la Rosalia alpina. Uno degli insetti più appariscenti d’Europa, dal caratteristico e inconfondibile colore azzurro cenere con macchie nere e dalle lunghissime antenne (anche loro bicolori). Stiamo parlando di un coleottero saproxilico, che si nutre, quindi, del legno di piante morte o in condizioni vitali non ottimali. Questo avviene nello stadio larvale. Infatti, gli adulti depongono le uova su faggi morti o deperienti e le larve per circa due o tre anni si nutrono del legno scavando lunghe gallerie.

    Non è semplice incontrare un adulto di Rosalia alpina mentre camminiamo in natura, ma a volte possiamo essere fortunati ed osservarlo su un tronco, spesso in pieno sole. Ma questo può avvenire solo nei boschi maturi e naturali (generalmente di faggio) con grandi alberi senescenti o morti a terra o ancora in piedi.

    Nel Lazio la specie è presente in pochissimi luoghi e tra i fattori che la minacciano ci sono sicuramente i cambiamenti apportati dall’uomo al suo habitat. Per questo per le aree della rete Natura 2000, dove troviamo questo insetto, sono state scritte delle misure di conservazione apposite. Ad esempio, non è consentito abbattere le grandi piante di faggio morte, né portare via i rami particolarmente grandi. Persino in caso di interventi selvicolturali un terzo delle piante tagliate devono essere lasciate sul posto. Andranno a costituire quella che viene definita necromassa legnosa, fondamentale non solo per questa specie ma per tutta una comunità di organismi che la andranno a decomporre, permettendo il “riciclo” di tutti i componenti chimici messi di nuovo a disposizione del bosco. In fin dei conti, proteggere la Rosalia alpina significa proteggere il suo habitat. E viceversa.

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